Quando, nel giugno 2005, ho partecipato alla lezione itinerante di Lionello Archetti Maestri, che era stato invitato dall’Università della Terza Età a guidare gli allievi per una visita della Città, mi sono convinta dell’importanza di certi segni che, sopravvivendo al lento trascorrere del tempo, assumono valore storico documentario.
“Valutazione dello stato di conservazione della pittura murale e descrizione delle linee operative che hanno guidato l’ intervento di restauro
Antonella Barbara Caldini
Quando, nel giugno 2005, ho partecipato alla lezione itinerante di Lionello Archetti Maestri, che era stato invitato dall’Università della Terza Età a guidare gli allievi per una visita della Città, mi sono convinta dell’importanza di certi segni che, sopravvivendo al lento trascorrere del tempo, assumono valore storico documentario.
Comprendere la storia materiale di un manufatto storico, artistico e architettonico è fondamentale per avviare quel processo di conoscenza e documentazione che conduce alla sua conservazione. Il suggerimento di Archetti Maestri di salvare i pezzi della nostra storia ha ulteriormente sensibilizzato chi scrive che, insieme al Presidente dell’Associazione Unitre, ai membri del Consiglio Direttivo e agli allievi, si è impegnata nell’attivazione di tutte le pratiche autorizzative necessarie a dare l’avvio al restauro della piccola pittura murale di Piazza dei Dottori.
Preferirei non entrare nel merito della questione storica, relativa all’attribuzione iconografica della figura del Santo, dal momento che ritengo che questo sia un aspetto meritevole d essere delegato agli storici e agli esperti d arte che, proprio in questa sede, hanno dimostrato di sapere analizzare l’argomento in maniera autorevole.
Il mio contributo si limiterà a descrivere lo stato di conservazione della pittura murale prima dell’intervento di restauro, analizzando l’incidenza assunta nel tempo dagli agenti di degrado naturali ed antropici e l’approccio metodologico che quindi è stato necessario attuare per garantire il mantenimento di tutti i caratteri distintivi della configurazione storica, fisica e formale con cui il dipinto, oggetto dell’intervento, è giunto fino ai nostri giorni.
Prima del restauro la pittura murale, conservata sul prospetto posteriore del Palazzo del Piccolo Seminario, si presentava in pessimo stato di conservazione. L incuria generale, a cui era stata abbandonata per anni, denunciava la presenza, dove l’intonaco e la pellicola pittorica erano ancora conservati, di depositi superficiali compatti, di natura coerente ed incoerente, che si erano accumulati negli anni, impedendo la lettura d insieme del dipinto.
Da una semplice analisi visiva emergeva una diverso stato di conservazione tra la zona superiore e quella inferiore del dipinto. La parte alta si presentava, infatti, ancora leggibile, benché fortemente decoesa, dilavata e interessata in maniera diffusa da colature e schizzi cementizi, ricollegabili a precedenti interventi di manutenzione della facciata. La parte bassa, invece, presentava un estesa lacuna pittorica, al di sotto della quale erano visibili gli strati compitivi dell’affresco:
l arriccio di fine spessore e media granulometria, sul quale erano ancora leggibili le tracce della sinopia (Nota 3) preparatoria (riproducenti con ogni probabilità il panneggio dell’abito del Santo) e il rinzaffo, di fattura più grossolana.
Nota 3: Molti e diversi sono i metodi di trasposizione del disegno sull’intonaco: le architetture erano generalmente trasferite tramite battitura dei fili, utilizzando una cordicella intrisa di polvere di colore, fissata in bolla sull’intonaco tramite chiodi, che veniva sbattuta sulla superficie, l’impatto produceva una traccia di colore che serviva da guida al pittore. Quando il disegno era già stato preparato in laboratorio, si poteva ricorrere al metodo cosiddetto della quadrettatura , una specie di reticolo generalmente utilizzato per trasporre composizioni complesse o, nel caso di grandi superfici, anche ad andamento curvo. Altro metodo era quello del disegno diretto, eseguito a mano libera dal pittore con tinte che potevano variare dal verdaccio (utilizzato soprattutto nel Trecento) alla terra rossa (sinopia).
L incisione a chiodo consisteva, invece, sul tracciamento del disegno sull’intonaco ancora fresco tramite una punta, il segno poteva anche essere rafforzato con pennellate di colore (generalmente rosso). L incisione da cartone si otteneva applicando sull’intonaco fresco un cartone, sul quale era già stato realizzato il disegno, e incidendo il contorno con una punta di osso o legno. Da ultimo lo spolvero che si otteneva appoggiando sull’intonaco fresco un foglio di carta da spolvero, contenente il disegno preparatorio, sul quale erano stati praticati con un ago piccoli fori sul contorno, con un sacchetto di tela riempito di polvere (nera o rossa) si andavano a tamponare i contorni del disegno, trasferendo in questo modo il disegno sul muro.
Per approfondimenti, Cfr., C. Conti, L intonaco e le pitture murali in C. Carbonara, Restauro architettonico, Utet, Torino, 1999, vol. III, pp. 251-289
Il diverso stato conservativo era anche dovuto alla differente esposizione agli agenti atmosferici, specie all’azione eolica che aveva favorito i fenomeni di usura sia dell’intonaco che degli strati pittorici, interessando estesamente le campiture non eseguite ad affresco. A riguardo occorre precisare che dalla lettura ravvicinata della pittura è emerso un uso combinato, da parte del pittore, della tecnica ad affresco con quella a mezzo fresco e a secco. Aspetto, questo, che ha certamente determinato un diverso livello di adesione tra i singoli strati e tra questi e il supporto, favorendo l’ingenerarsi dei fenomeni di degrado sulle aree più deboli.
Anche l’azione meccanica delle acque meteoriche, l’umidità di risalita (anche dovuta al ristagno dell’acqua piovana sulla mensola di base della nicchia) e le variazioni termoigrometriche avevano favorito l’ingenerarsi dei fenomeni di degradazione con conseguente dilavamento, disgregazione (Nota 4) e distacco (Nota 5) dell’intonaco e della pellicola pittorica.
Nella parte alta, in corrispondenza del viso del Santo, una lacuna più circoscritta interessava la zona corrispondente all’occhio destro e mostrava il sollevamento del film pittorico, vistosamente indebolito e in completa fase di stacco.
Altri fattori di tipo antropico avevano contribuito al peggioramento dello stato qualitativo:
come la presenza diffusa di cavi e fili elettrici, lasciati correre nelle immediate adiacenze del dipinto (se non addirittura a diretto contatto con la pellicola pittorica), inseriti in maniera chiaramente invasiva e senza alcun rispetto della valenza artistica del dipinto. Si aggiunga la presenza di alcune rappezzature e ridipinture eseguite in occasione di precedenti interventi di manutenzione e restauro, dei quali non esistono riferimenti documentati, la cui alterazione macroscopica differiva dal degrado progressivo e naturale che interessava il resto dell’affresco.
L esame dello stato di conservazione, condotto in sito, ha permesso di definire, in maniera semplice ed univoca, lo stato di salute della pittura murale, identificando le principali forme di alterazione, l’origine e i processi di degrado.
L intervento di restauro conservativo è quindi stato subordinato all’acquisizione ed elaborazione di questi dati, attraverso i quali è stato possibile calibrare la qualità, l’ampiezza e soprattutto i limiti del trattamento. In questa fase è stato indispensabile procedere all’elaborazione grafica del dipinto, attraverso il raddrizzamento fotografico e la vettorializzazione dell’immagine digitale, fino al successivo trasferimento di tutte le informazioni raccolte in cantiere.
Questo particolare strumento di lavoro consente di superare i problemi intrinseci all’elaborazione su base fotografica e di produrre una mappatura sintetica, chiara, selezionabile per singoli temi e facilmente riproducibile. Tale sistema, impiegato le prime volte su opere di notevole importanza, è entrato ormai a far parte della prassi operativa comune, al punto da essere divenuto parte integrante nei capitolati d appalto per i lavori di restauro. In questo caso specifico, infatti, pur trattandosi di pochi metri quadrati di affresco, la metodologia adottata si è rivelata estremamente efficace perché ha permesso di stabilire la priorità di certe operazioni di restauro (messa in sicurezza e consolidamento) piuttosto che di altre (reintegrazione pittorica).
Le diverse forme di degradazione sono state trasferite sul disegno soltanto dopo avere messo a punto una specifica simbologia che, nel rispetto dell’orientamento prevalente, ha privilegiato l’impiego di retini a diversa campitura, questa metodologia ha l’indubbio vantaggio di fornire un elaborato chiaro e leggibile dove il segno più rigido ed astratto entra meno in conflitto con il tratto realistico del rilievo.
A ciò si aggiunga un ulteriore considerazione legata al fatto che questo tipo di rappresentazione, essendo in scala, permette di misurare con buona precisione l’effettiva estensione del fenomeno, favorendo la stima concreta dei costi per singolo intervento.
L insieme dei dati raccolti ha completato la fase di diagnosi preliminare, condotta sul dipinto e dettato le regole per il successivo intervento di restauro, il cui obiettivo primario è stato quello di frenare il degrado e permettere la conservazione di quanto era rimasto.
L intervento è stato eseguito provvedendo anzitutto alla messa in sicurezza delle zone più pericolanti, per poi procedere a tutta quella serie di operazioni che dal consolidamento hanno portato fino all’intervento di integrazione pittorica. L estesa lacuna che interessava tutta la parte bassa del dipinto, è stata trattata in maniera neutra, non essendo ammissibile altro tipo di intervento, sia per lo stato di conservazione in cui versava, che per l’assenza di documentazione storica e iconografica sufficiente a fornire informazioni aggiuntive o di supporto.
L immagine restituita non renderà certamente giustizia a quella originaria, ormai deturpata per sempre dal tempo e dall’incuria, ma avrà certamente contribuito alla salvaguardia di una permanenza, secondo quello che dovrebbe essere l’obiettivo prioritario di ogni intervento di restauro conservativo. L usanza, ormai consueta, infatti, di intendere il restauro come un intervento di mutazione morfologica e materiale dell’oggetto spinge troppo spesso il professionista a credere che l’intervento sia un modo per lasciare il segno , un vanto nell’esibizione del suo operato.
In questo caso l’intenzione del progetto Unitre, concretizzato con lo slogan Adottiamo un affresco , ben lungi da ogni intenzione celebrativa, è stato quello di procedere al recupero del dipinto per meglio comprenderne il valore storico, magari stimolando gli studiosi a scoprire il perché della sua particolare ubicazione.
Viene, infatti, da chiedersi per quale motivo il dipinto si ponga come elemento di frattura nella continuità architettonica della cornice marcapiano del palazzo: si tratta di un unità stratigrafica antecedente o posteriore il palazzo stesso? Considerato, inoltre, che esso è prospiciente la Piazza dei Dottori, viene da domandarsi se sia una pura casualità o, al contrario, indice di una volontaria intenzione di segnare un antico percorso.
Tutte domande alle quali chi scrive non è stata in grado di dare risposte chiare: forse in tal senso potrebbe rivelarsi utile effettuare una stratigrafia parziale dell’elevato per valutare quali unità stratigrafiche murarie si celino sotto l’attuale facciata intonacata.